Violenza di genere: quali sono le donne più a rischio?

non-stiamo-in-silenzioLo scorso 25 Novembre si è svolta la Giornata internazionale contro la Violenza sulle Donne. Una data importante, che ha stimolato molteplici riflessioni poichè la violenza, sia fisica che psicologica, nei confronti di donne e bambine può arrivare da qualunque direzione.  Può essere compiuta da perfetti sconosciuti, ma, purtroppo, è molto più usuale che siano le stesse persone che circondano la vittima, i suoi “affetti”, a diventare anche i suoi aguzzini.

Comportamenti come gli stupri, la violenza verbale, l’insulto,le botte, il disprezzo manifestato in tutti i modi possibili, violano i diritti fondamentali della persona. Non di rado però le denunce non partono, la paura sostituisce la rabbia, l’accettazione subentra alla ribellione.

Ma per quale motivo donne apparentemente “normali” continuano a cercarsi partner violenti? Semplicemente perché non riescono a spezzare la catena, questa è la risposta.

Nel libro “Donne che amano troppo” l’autrice, Robin Norwood, individua il legame che unisce storie di donne apparentemente diversisisme tra di loro, tracciando una sorta di profilo psicologico di chi sia più a rischio di subire violenze dall‘uomo che ama. Ne risulta un comportamento autolesionista comune a tutte, che ha un’origine sempre nella prima infanzia.

Una bambina che sia stata svalutata e umiliata, che abbia subito o visto subire dalla propria madre abusi da parte del padre o patrigno, una bambina che abbia vissuto nel terrore, o che sia stata ignorata e poco amata, poco apprezzata o costretta a crescere troppo in fretta, avrà due strade da seguire da adulta: riproporre i modelli familiari “malati” che ha conosciuto, perché sa cosa aspettarsi, o cercare di superarli e guarire dalla sue ferite, e allora, comunque, dovrà riproporre lo stesso schema.

E così, inconsciamente, la ex bambina violentata, disprezzata, non amata, presa a botte, la ex bambina figlia di padri alcolisti, violenti, deboli, cercherà un partner così. E lo troverà. Per “salvarlo”, per salvare se stessa? No, perché chi sia stato svalutato da piccolo, interiorizza questo giudizio negativo (“merito” le violenze, “merito” il disprezzo”) su se stesso e senza volere ricrea situazioni in cui può confermare tale giudizio. E’ terribile, ma siamo fatti così.

Questo meccanismo si può ripetere all’infinito finché la catena non venga spezzata una volta per tutte, e per fare questo, proprio come in tutti i rapporti ossessivi di dipendenza, biosogna partire da se stessi e fare un percorso di scoperta e ri-valutazione della propria persona. Guarire si può, ma una donna che abbia vissuto una vita da vittima non ce la può fare da sola.

Per questo esistono associazioni, gruppi di autoaiuto, centri antiviolenza, che sono stati creati e sono a disposizione delle donne vittime dell’abuso maschile.

La prima tappa è ammettere di avere un problema, in questo caso, di essere a rischio di diventare vittima di violenze o di esserlo da una vita. Spezzare la catena si può, così da rendersi finalmente libere di amare un uomo che questo amore lo meriti davvero.

Amare in modo sano è imparare ad accettare e amare prima di tutto se stesse, per poter poi costruire un rapporto gratificante e sereno con un uomo “giusto” per noi” (Robin Norwood)

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